
Scusate l’attesa, ma ci ho messo quasi 10 giorni per riprendermi dalla trasferta di Siviglia. Sì, avete capito bene: 10 giorni. Perché, vedete, quando sei un runner normalissimo come me (niente sponsor, niente segretaria, solo tanta passione e un paio di scarpe consumate), staccare per 5 giorni significa poi affrontare un rientro che è più traumatico di un ultimo kilometro in salita.
Scusate l’attesa, ma ci ho messo quasi 10 giorni per riprendermi dalla trasferta di Siviglia. Sì, avete capito bene: 10 giorni. Perché, vedete, quando sei un runner normalissimo come me (niente sponsor, niente segretaria, solo tanta passione e un paio di scarpe consumate), staccare per 5 giorni significa poi affrontare un rientro che è più traumatico di un ultimo kilometro in salita.
Tra la stanchezza i muscoli che protestano e la montagna di impegni lavorativi rimandati questi giorni post-Siviglia sono stati un mix tra recupero fisico e corsa contro il tempo. E se mi seguite un po’ più da vicino sui social, sapete già che non mi sono concesso neanche un respiro: atterrato alle 10:00 all’aeroporto di Bergamo, giusto il tempo di un caffè e un boccone, e subito via a Milano per conseguire la mia laurea in Psicologia. Perché, si sa, la vita di un runner normalissimo è sempre in modalità “multitasking”.

Ma ora sono qui, pronto a raccontarvi tutto: le emozioni della maratona, i retroscena di Siviglia.
Spoiler: c’è voluta più resistenza mentale che fisica. E se siete curiosi di sapere come un runner normalissimo riesce a conciliare passione, lavoro e follia, beh, continuate a leggere. Prometto che ne vale la pena.
E poi c’è la Spagna

Ah, la Spagna! Non nascondo di avere un debole per questa terra. Sole, tapas, architettura mozzafiato e, soprattutto, un clima da sogno per noi runner. Praticamente perfetto quasi tutto l’anno. Se siete come me, sapete già che correre sotto un cielo azzurro, con temperature miti e un’atmosfera che sa di festa, è un’esperienza che ti rimane dentro. E Siviglia, beh, Siviglia ha superato ogni aspettativa.
Ma non è solo il clima a rendere la Spagna un paradiso per i runner. È l’organizzazione. Quella vera, quella che funziona. Quella che ti fa pensare: “Ma perché da noi non è così?”. Ho corso a Valencia, Barcellona e ora Siviglia, e posso dirvi senza esitazione che gli spagnoli sanno come si fa. Consiglio vivamente a tutti gli organizzatori italiani di fare un salto qui e prendere appunti. Perché, diciamocelo, in Italia c’è ancora tanto da migliorare.
Faccio parecchie gare nel nostro bel Paese, dalle maratone più blasonate alle mezze maratone di paese, e ogni volta mi ritrovo a fare i conti con lo stesso caos: ritirare il pettorale è un’odissea, la riconsegna delle sacche post-gara è spesso indecente, e la gestione logistica lascia a desiderare. Ma qui a Siviglia, con oltre 16.000 iscritti, mi sembrava di essere in 1.000.

Arrivo alla partenza alle 7:45, mi avvio alla consegna delle sacche e… niente ressa. Zero. Niente code infinite, niente confusione. Solo gazebi ben organizzati, tantissimi, dove ognuno poteva lasciare la propria sacca personale. Sì, avete capito bene: la tua sacca, non quella sacchetta minuscola che ti obbligano a usare in Italia, dove in inverno non ci puoi infilare nemmeno una tuta post-gara. Qui niente costrizioni, niente famigliari costretti a girare per la città con uno zaino in spalla come facchini. Tutto semplice, efficiente, pensato per il runner.
E allora mi chiedo: perché da noi deve essere sempre così complicato? Perché non possiamo imparare da chi fa le cose bene? Siviglia mi ha regalato non solo una maratona indimenticabile, ma anche una lezione su come si organizza un evento che mette al centro il runner. E io, da runner normalissimo ma con la passione di chi ci crede, non posso che prendere appunti e sperare che qualcuno, da qualche parte in Italia, stia ascoltando.


ristori pazzeschi

L’arrivo?
Pura
magia.
Tagliare il traguardo di una maratona è sempre un’emozione unica, e a Siviglia è stato ancora più speciale. La medaglia? Favolosa. Lasciamo perdere il legno o i materiali plastici di cui tanto si parla: questa medaglia è un trofeo che vale ogni singolo kilometro corso. E senza offesa per chi pensa al pianeta (che è sacrosanto), credetemi, ci sono altri modi per salvare il mondo che non passano per una medaglia di plastica.
E poi, il pacco gara post-maratona. Oh, ragazzi, qui siamo andati oltre ogni aspettativa. Era meglio che fare la spesa al supermarket! Brioches, frutta, Coca Cola, birra analcolica, bevande energetiche… insomma, sono arrivato a casa con un sacchetto così pieno che avrei potuto aprire un mini market. E non è solo una questione di quantità, ma di qualità. Tutto curato, tutto pensato per farci sentire coccolati dopo lo sforzo immane della gara.
in conclusione

Eccoci qua, alla fine di questo racconto fatto di sudore, emozioni e chilometri. Siviglia non è stata solo una maratona, è stata un’esperienza totale. Un mix perfetto tra organizzazione impeccabile, un percorso che ti fa volare, ristori da urlo e un’atmosfera che ti ricorda perché ami correre.
Se c’è una cosa che porto a casa (oltre al sacchetto stracolmo di bibite e snack, ovviamente), è la consapevolezza che quando si fa le cose bene, si vede. E gli spagnoli, in questo, sono maestri. Da runner normalissimo, ma con la passione di chi vive ogni kilometro come una piccola vittoria, non posso che inchinarmi davanti a un evento così ben curato.
E a voi, runner e sognatori, vi dico: mettete Siviglia nella vostra lista delle maratone da correre almeno una volta nella vita. Perché qui non si corre solo per il tempo o per il traguardo, si corre per il piacere di sentirsi parte di qualcosa di grande.
Ora, mentre mi godo la mia medaglia e sorseggio una birra analcolica del pacco gara, vi saluto. Perché il prossimo kilometro è già in arrivo, e io non vedo l’ora di raccontarvi la prossima avventura.